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FORZE SOCIALI

FORZE SOCIALI

e forme costituzionali

“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

Ho ancora vivo il ricordo dell’applauso quasi unanime che salutò all’Assemblea Costituente l’approvazione del primo articolo della Costituzione Repubblicana. In questo applauso, indubbiamente in gran parte sincero, era contenuta la superstite illusione settecentesca che bastasse fare delle leggi “giuste” in luogo di quelle “ingiuste” del caduto regime, per seppellire definitivamente la vergogna fascista, perché un’era nuova nascesse finalmente nel nostro paese. “I vizi di un popolo, aveva scritto Helvetius alla vigilia della rivoluzione francese, stanno nascosti al fondo della sua legislazione”. Una nuova legislazione avrebbe dovuto darci una nuova umanità monda dalla corruttela del fascismo e nuovi rapporti umani ispirati a giustizia.

Pochi intesero, pochissimi dissero allora quello che Mari aveva così chiaramente detto ai giurati di Colonia che dovevano giudicarlo, che le leggi e le costituzioni sono il riflesso dei rapporti sociali, per cui esse sono vitali e suscettibili di applicazione nella misura in cui interpretano il reale equilibrio delle forze sociali esistenti nel Paese in quel determinato momento. Sicché il significato di questo articolo poteva essere grande o meschino - preannuncio di un radicale mutamento delle nostre strutture sociali o semplice espressione di un desiderio o addirittura affermazione poco più che retorica - a seconda che le forze nuove che si erano espresse nella Resistenza e che avevano vinto il 2 giugno la battaglia repubblicana, avessero la volontà e la possibilità di abbattere non soltanto la facciata del fascismo ma altresì gli interessi economici che all’ombra protettrice di quella facciata avevano dominato il Paese durante vent’anni.

Erano gli interessi dei gruppi monopolistici, gli interessi del grande capitale che costituivano, ancor più di Mussolini e dei gerarchi, un ostacolo reale a fare dell’Italia una repubblica fondata sul lavoro. Ed erano precisamente quegli interessi che, mentre la Costituente approvava articolo su articolo, una Costituzione avente un fondamento democratico, operavano il loro trasferimento dalle fila del fascismo a quelle della Democrazia Cristiana, vittoriosa il 2 giugno, preparandosi così a riempire di vecchio contenuto totalitario la nuova forma repubblicana. Così quell’articolo, e gli altri che da esso discendono e ad esso si ricollegano (il diritto al lavoro, il diritto a un salario vitale, il diritto al controllo delle aziende, ecc.), rimanevano come sospesi in aria senza una base reale su cui poggiare. La Repubblica Italiana è rimasta purtroppo una repubblica fondata non sul lavoro, ma sullo sfruttamento del lavoro, o peggio ancora, sulla disoccupazione e sulla miseria.

Ma appunto perciò non è ancora una Repubblica democratica. Parlando il 6 marzo 1947 all’Assemblea Costituente a nome del Gruppo Parlamentare Socialista, in sede di discussione generale della Costituzione, io così illustravo il pensiero del Gruppo in ordine a questi articoli: “il senso profondo di questi articoli nell’armonia complessa della Costituzione, dove tutto ha un suo significato, e dove ogni parte si integra con le altre parti, sta proprio in questo: che finché questi articoli non saranno veri, non sarà vero il resto; finché non sarà garantito a tutti il lavoro, non sarà garantita a tutti la libertà; finché non vi sarà sicurezza sociale, non vi sarà veramente democrazia politica; o noi realizzeremo interamente questa Costituzione, o noi non avremo realizzato la democrazia in Italia”. A distanza di tre anni queste parole sono più che mai attuali. Proprio perché le forze monopolistiche hanno potuto in questi anni continuare a dominare l’Italia all’ombra dello scudo crociato, e sono riuscite a svuotare del suo contenuto sociale le speranze della Resistenza vittoriosa, proprio perché le riforme di struttura preannunciate in quegli articoli della Costituzione sono rimaste fino ad oggi lettera morta, proprio per questo abbiamo ancora oggi in Italia le leggi fasciste di polizia, proprio per questo abbiamo oggi in Italia sempre più lavoratori uccisi in un tragico rosario che si sgrana da Melissa a Celano.

Tutto ciò non significa però che la Costituzione sia da considerarsi oggi, un semplice pezzo di carta. Anche se i principi da essa proclamati non hanno avuto attuazione, essa racchiude ancora in sé le speranze tradite della Resistenza, documenta l’ansia di rinnovamento del nostro popolo, testimonia la volontà dei lavoratori e dei democratici italiani di darsi un nuovo ordinamento politico e sociale. Le ideologie, ci ha insegnato il marxismo, non sono un passivo riflesso del mondo sottostante, non sono un semplice peso morto; frutto del mondo sottostante, reagiscono su di esso, e quando esprimono la coscienza delle contraddizioni in cui si dibatte la società, sono il faro che guida la classe oppressa verso il superamento delle contraddizioni.

Se anche la classe dominante si ostina a considerare la Costituzione come un ingombrante pezzo di carta, i lavoratori italiani sapranno fare di essa la carta delle loro rivendicazioni, sapranno lottare per dare attuazione ai suoi principi, sino a quando diventi realtà e non semplice enunciazione astratta, la proposizione con cui la Costituzione comincia, e che significa abbattimento del dominio dei monopoli e del regime di polizia che lo accompagna “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

LELIO BASSO