Sulle
relazioni tra polizia e magistratura
Caro Calamandrei,
sono intervenuto alla Camera in
sede di discussione della tua mozione, ma quando è venuto il mio turno di
parola ero al terzo giorno di influenza e di una febbre debilitante, che, se
pur mi consentì di alzarmi e di recarmi a Montecitorio, mi fece però mancare le
forze fisiche, la voce in primo luogo, per compiere come avrei voluto la mia
fatica. Ma del resto, grazie ai segnalati servigi che la grande stampa di
informazione rende all’istituto parlamentare, non è certamente la tribuna di
Montecitorio la più adatta per parlare all’opinione pubblica, specie quando si
tratti di aspetti incresciosi della nostra vita pubblica. Sicché se anche
avessi potuto svolgere interamente la mia argomentazione, non ne avrei ricavato
un reale vantaggio allo scopo, che pur mi premeva, di sottoporre all’attenzione
del pubblico alcune considerazioni e alcune tesi che mi sembravano, in questa
partecipazione, degne di attenzione.
Ecco perchè, avendo seguito le
nobili battaglie che tu hai sempre combattuto sul “Ponte” per far luce intiera
su questi problemi di civiltà, mi permetto chiederti ospitalità per prospettare
ai tuoi lettori il punto di vista che solo parzialmente ho svolto alla Camera.
Eccolo in sintesi:
1) Io non entro nel merito delle numerose proposte che sono state avanzate
e che sono probabilmente tutte utili, e che pertanto io appoggio come un
rimedio parziale, ma che non considero ancora il rimedio principale. Il quale
consiste, secondo me, essenzialmente in una profonda radicale riforma di un
millenario costume. Tu, che segui con diligente amore le vicende della vita
giudiziaria italiana, sai che anche sulla base della legislazione vigente,
quando sia arrestata per motivi comuni una persona appartenente a ceti sociali
privilegiati, e uso la parola in senso molto lato, può avere la sicurezza di
andare esente da mezzi coercitivi, anche se si ostinasse a negare. Ti immagini
tu un diplomatico G., o una contessa
B., o un monsignor L., o un industriale X, o un funzionario Y, sottoposti a
questo trattamento? E questa sicurezza deriva ad essi appunto dal costume
millenario, che è sopravvissuto alla Rivoluzione Francese e sopravvive anche
alla nostra Repubblica democratica, che la tortura per i reati comuni si
applica solo agli humiliores e non agli honestiores, mentre per il crimen majestatis (oggi, in senso più lato, per i reati politici) come per
l’eresia, che è reato di lesa maestà divina, omnes torquentur. Io ho insistito nel mio intervento
alla Camera proprio nel mettere in rilievo questa “costante” della tortura, sia
antica sia medievale sia contemporanea, che consiste nel rispetto di un privilegium
dignitatis, con
l’eccezione della famosa ordinanza di San Luigi re di Francia, che esentava
dalla tortura “personas honestas ac bonae famae etiam si sint pauperes”.
2) Solo se ci rendiamo conto di
questo carattere discriminatorio che i mezzi di coercizione fisica e morale
hanno ancor oggi come hanno avuto in ogni tempo, possiamo renderci conto sia
dell’ampiezza del fenomeno, sia della difficoltà che si riscontra oggi a far
reagire l’opinione pubblica. Quanto all’ampiezza del fenomeno, l’esperienza ci
conferma ch’esso riguarda solo arrestati per motivi politici oppure arrestati
per motivi comuni (specialmente se per reati di particolare gravità)
appartenenti alle classi povere, che naturalmente si mantengano negativi. Ma
proprio perchè esiste una discriminazione in questo senso che stabilisce dei
limiti al fenomeno, esistono dei limiti analoghi alla possibilità di far sentire
una voce di protesta. Nel mio intervento alla Camera io avevo facilmente e
letteralmente previsto quale sarebbe stata la risposta del Governo alla tua
mozione: come potrebbe infatti il Governo prendere seriamente posizione contro
l’impiego di metodi che costituiscono uno specifico mezzo di lotta contro i
suoi avversari politici e sul cui impiego nei confronti di questi ultimi esso
non ha mai avuto nulla da ridire? Tanto più poi quando si tratti di un Governo
che ha così chiaramente dato a vedere in quale conto tenga la Costituzione ogni
qual volta s’è trattato di conservare intatti i suoi privilegi (vedi Corte
Costituzionale, referendum, legge di P. S., elezioni regionali, ecc.)?
Ma per ragioni analoghe anche
l’opinione pubblica si mostra generalmente insensibile. Purtroppo la classe che
forma quella che comunemente si chiama l’opinione pubblica è la classe
privilegiata, che possiede i giornali di grande informazione e in generale
controlla tutti gli strumenti di orientamento dell’opinione, soprattutto nelle
grandi città ove si formano le correnti d’opinione che sono poi chiamate a
dominare il Paese. Il “caso” Egidi è stato una vera eccezione, perchè in questa
occasione è stato il popolo della sua borgata che ha reagito per il primo e ha
sensibilizzato l’opinione di tutta la piccola gente della capitale, creando
un’atmosfera che non ha potuto essere sottaciuta della stampa. Ma tu sai meglio
di me che vi sono state decine di casi analoghi che non sono riusciti
neppure a scalfire l’opinione pubblica. E perché? Perchè quello che interessa
alla classe che forma l’opinione pubblica, cioè la classe degli honestiores, non è la difesa della personalità
umana (essa sa che metodi simili non la riguardano), ma il rispetto dell’ordine
sociale, il quale esige che ad ogni violazione del diritto corrisponda
un’adeguata sanzione, e non importa se la sanzione colpisca il vero reo o un
innocente quando si tratti di un appartenente alle classi povere, agli humiliores, a cui non è riconosciuto alcun privilegium dignitatis. Il problema
umano non entra in considerazione in simili casi, perchè si tratta di esseri
cui non si riconosce dignità umana da tutelare (sono quelle stesse classi
povere, che possono tranquillamente morire di fame con la pensione di Umberto
D, o consumare la loro giovinezza nelle baracche o nelle grotte e mancare
sempre del minimo necessario all’esistenza), ma solo il problema sociale di far
apparire ristabilito con una condanna l’ordine violato, che è sempre il
problema principale della classe dominante. Che cosa vuoi che conti la sorte di
un povero cristo innocente dinanzi alle necessità di riaffermare l’autorità
della legge? Si condanni dunque il povero cristo anche innocente, e gli si
strappi la confessione necessaria, ma sia salvo il principio su cui si asside la
società degli honestiores.
3) I magistrati purtroppo
appartengono anch’essi a questa cerchia degli honestiores, con in più la deformazione professionale che li porta a vedere
quasi dappertutto il colpevole, che li porta a credere alla polizia (io ho ricordato
alla Camera la storia del povero Crainquebille
di Anatole France, e credo che essa sia valida alla lettera ancor oggi),
che li porta a non prestar fede alle affermazioni dell’imputato, che li porta
infine a ragionare non sulla realtà vera ma sugli schemi. So benissimo che non
è sempre così, so che esistono in Italia e altrove dei magistrati umanissimi e
aperti alla verità, so p. es. che c’è un’Associazione dei Magistrati i cui
dirigenti meritano la nostra più alta considerazione, ma so anche che quando si
riesce in questa materia a vincere le difficoltà soggettive (trovare, ed è già
difficile, un magistrato disposto a credere alle violenze della polizia e a
fare giustizia) subentrano le difficoltà oggettive della prova che si deve
fornire. E allora di fronte ad un caso di giustizia resa, quanti ve ne sono per
i quali non sarà mai fatta giustizia?
4) Ma come mai, mi si obietterà, la tortura è stata già una volta
legalmente abolita per tutti, nel XVIII secolo, per le classi privilegiate come
per le classi umili? Il XVIII secolo fu un’epoca rivoluzionaria,
un’epoca di trapasso di poteri da una classe a un’altra; una larga frazione
della popolazione passava allora dalla condizione di classe inferiore a quella
di classe superiore, e dava forma universale alle sue rivendicazioni. Il
passaggio di potenza e di potere da una classe a un’altra non è un fatto così
semplice ed istantaneo da consentire alla classe ascendente di appropriarsi di
colpo tutti i privilegi da cui prima era esclusa e che erano appannaggio della
sola classe dominante; in un primo tempo essa tende all’abolizione dei
privilegi, in generale, ed è abbastanza forte per rivendicare l’uguaglianza,
non abbastanza per farsi usurpatrice di privilegi. Ma consolidata al potere
come classe dominante, e poi, attraverso il corso dei secoli, costretta alla
difensiva dall’avanzata di nuove classi, essa, finisce col rinnegare le sue
origini, le sue rivendicazioni di eguaglianza, le sue battaglie contro il
privilegio, e risuscita in sua difesa le armi che ha combattuto quando eran
nelle mani della classe che l’ha preceduta al potere.
L’abolizione della tortura per
tutti è una conquista della borghesia nella sua fase ascendente, come la
rivendicazione della libertà di coscienza o la conquista della democrazia: c’è
da stupirsi che questa stessa borghesia, la quale nella sua fase discendente ci
ha già ridato il dispotismo di tipo fascista nazista o salazariano, e che ci
sta deliziando con il ritorno al confessionalismo statale, ci dia anche il
ripristino di alcune forme di tortura per i ceti inferiori? Saremmo fuori dalla
logica della storia se ci stupissimo di questi tristi ritorni.
Naturalmente, secondo Scelba e
secondo Zoli, chi dice queste cose lo fa per
screditare la polizia, non per difendere la verità, e bisogna pur riconoscere
che la congiura del silenzio intorno a questi fatti è in generale riuscita, e
che ancor oggi molti sono coloro che pensano si tratti solo di un “caso” Egidi
o di altre pochissime eccezioni. Perciò bisogna continuare a battersi per far conoscere
la verità e a battersi per imporre tutti i possibili rimedi. Ma credi a me, il
successo definitivo si otterrà solo quando la dignità umana non sarà più
considerata come un privilegio, ma sarà uguale per tutti come è scritto nella
Costituzione, e quando i cittadini avranno diritto all’uguale rispetto, etiam si sint
pauperes.
Temo
proprio che per vedere la definitiva abolizione della tortura dovremo attendere
il trionfo del socialismo.
Ti sarò
grato dell’ospitalità e ti prego accogliere l’espressione del la mia
riconoscenza affettuosa.
LELIO BASSO
Avvocato,
deputato del P. S. I.