L’art. 1 della nostra Costituzione contiene in poche parole una definizione
chiara della natura dello Stato italiano: “L’Italia è una
Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene
al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Definizione chiara tuttavia solo per chi abbia chiaro il significato delle
parole usate in questo articolo: in modo particolare, dell’aggettivo “democratica” e
dell’espressione “la sovranità appartiene al popolo”:
concetti entrambi intorno ai quali si polarizza da oltre un secolo e mezzo
sia la lotta politica che la fatica dei giuristi. Nel corso di questo periodo
e proprio in virtù di queste lotte e di questi sforzi, il valore e la
portata di queste espressioni è venuto modificandosi; per rendersi conto
del vero significato di quell’articolo primo, da cui deriva poi il significato
di tutta la Costituzione e da cui scaturisce quindi la natura dello Stato italiano, è perciò necessario
innanzi tutto stabilire precisamente il valore e la portata delle espressioni
citate, e soprattutto dell’aggettivo “democratica” in quel
contesto costituzionale.
Ci accingeremo a quest’esame seguendo quattro strade diverse: in primo
luogo cercheremo di indagare proprio il corso storico della democrazia (della
democrazia occidentale, si intende, nella quale storicamente si inquadra la
nostra, non della democrazia socialistica che si svolge in situazioni e sulla
base di principi diversi) e della sovranità popolare dal Settecento
ad oggi, e di stabilirne le tendenze di fondo, in modo da renderci conto in
quale fase dello sviluppo di queste tendenze si inserisca la nostra Costituzione,
di quale significato cioè esse fossero storicamente cariche nel momento
in cui furono impiegate dal Costituente italiano. Esamineremo poi l’occasione
da cui sorse la Costituzione repubblicana, lo spirito che la espresse, le aspirazioni
che essa fu chiamata a concretare. Studieremo quindi, come si fa per l’interpretazione
di ogni legge, i lavori preparatori, la fatica propria del Costituente, l’atteggiamento
vario dei partiti dalla cui discorde concordia è nata la Costituzione.
Da ultimo, considerando doverosamente la Costituzione come un complesso organico,
tenteremo di enuclearne le linee fondamentali, di coglierne l’intima
essenza, di illuminarne l’armonia dell’insieme, il reciproco coordinarsi
e concatenarsi di istituti e di norme, in modo che dalle singole parti scaturisca
una visione unitaria, e questa a sua volta aiuti ad intendere gli aspetti particolari.
Avremo così alla fine il quadro organico delle nostre istituzioni fondamentali,
la nozione complessiva del tipo di stato la cui nascita salutammo or sono dieci
anni.
Dire che democrazia significa governo del popolo e sovranità popolare è dire
poco più che nulla. Che cos’è il popolo? E che cosa significa “sovranità”?
Se pensiamo alle democrazie greche, cioè precisamente a quel regime
da cui storicamente ci viene la parola, dobbiamo subito dire che oggi non le
potremmo riconoscere come democratiche, perché il popolo sovrano vi
rappresenta in realtà solo una minoranza degli abitanti, gli schiavi,
che spesso costituiscono la maggioranza, essendo esclusi da ogni diritto politico,
e con essi anche altre categorie della popolazione. Sotto questo rispetto il
contenuto della democrazia si è quindi arricchito notevolmente nel corso
dei secoli.
Ma anche sotto il profilo della sovranità l’esperienza ci ha insegnato
molte cose. Sappiamo che non basta affermare categoricamente la sovranità del
popolo, attribuirgli costituzionalmente molti poteri e farli esercitare dalla
cosiddetta rappresentanza popolare o da altre autorità che da essa rappresentanza
derivino i propri poteri, perché vi sia effettivamente democrazia. In
realtà, più che l’attribuzione della sovranità al
popolo o a un sovrano, sono le tecniche di trasmissione della volontà dall’organo
sovrano agli organi dichiarativi di questa volontà e le tecniche di
applicazione in sede esecutiva o giurisdizionale di questa volontà dichiarata
che danno contenuto effettivo alla democrazia. In generale la volontà popolare
non è una volontà chiara e cosciente almeno in una gran parte
degli appartenenti al popolo, ed essa può subire alterazioni, per non
parlare dei mezzi preventivi di influenzamento e di violentazione psicologica,
venendo ad espressione attraverso la stampa e gli altri strumenti della pubblica
opinione e attraverso i partiti e gli altri organi politici. Ma oltre che espressa,
deve essere consacrata o nelle forme della democrazia diretta o nella formazione
degli organi che sono censiti esserne gli interpreti autorizzati, e cioè le
rappresentanze parlamentari e gli altri organi elettivi dello Stato. Questi
alla loro volta debbono formulare in norme giuridiche la volontà sovrana
di cui sono gli interpreti, e queste norme debbono infine essere applicate
da altri organi dello Stato.
La democrazia, cioè la sovranità del popolo, sarà più o
meno effettiva a seconda che il popolo sarà più o meno in grado
di avere e di formulare una propria volontà libera e cosciente e di
controllarne l’adempimento, ciò che dipenderà dalle condizioni
economiche sociali e culturali della popolazione e dal grado di libertà di
cui essa effettivamente godrà; a seconda che questa volontà diventerà effettivamente
volontà dello Stato, vale poi a dire indirizzo politico e norma giuridica,
a seconda cioè che gli organi preposti alla funzione legislativa e alla
direzione politica rifletteranno effettivamente la volontà popolare
e ne terranno il dovuto conto; a seconda infine che gli organi e i mezzi di
applicazione di questa volontà vi si conformeranno effettivamente.
È evidente che una democrazia ideale, cioè un regime in cui la
volontà statale scaturisca effettivamente da una libera e cosciente partecipazione,
in condizioni di uguaglianza, di tutti i cittadini alla direzione della cosa
pubblica, e sia la risultante effettiva di tutte queste volontà divergenti,
non è mai esistita, perché nelle varie fasi che abbiamo accennato,
nell’uso delle varie tecniche di formazione, espressione, trasmissione
e applicazione della volontà popolare si formano presso questo o quell’organo,
legittimo o meno, delle concentrazioni eccessive di potere che alterano il funzionamento
ideale della democrazia, secondo cui ogni cittadino dovrebbe essere al tempo
stesso e in eguale misura governante e governato, cioè partecipare al
potere sovrano in condizioni di uguaglianza con ogni altro cittadino ed egualmente
come ogni altro essere tenuto a ubbidire al potere sovrano. Possiamo quindi dire
con Max Adler: “Da un lato questa parola indica un certo contenuto storico,
una Costituzione che è stata conquistata e stabilita in un dato momento
e in un dato luogo, e che costituisce un progresso neri evoluzione politica.
In questo senso la democrazia è un fatto storico. L’altro significato
si riferisce all’avvenire, a qualcosa che ancora non esiste. Questa parola,
allora, designa non già la democrazia che esiste, ma quella che dovrà esistere.
Non crediate che questa sia una distinzione puramente astratta, che mira solamente
a una disgiunzione dialettica; al contrario, essa corrisponde a una realtà sociologica
molto importante e agisce, per conseguenza, sulla vita politica reale”.
Assumendo però il significato ideale come una stregua di valutazione
dell’effettiva democraticità dei diversi regimi, cioè della
democrazia storicamente realizzata, possiamo parlare di una maggiore o minore
democrazia, e potremo, alla fine del nostro breve excursus storico concludere
che, pur tra minacce, pericoli, deviazioni e ritorni indietro, la quantità effettiva
di democrazia praticamente realizzata è andata progressivamente crescendo,
cioè si è andati dal Settecento ad oggi da un minus a un plus.
E possiamo aggiungere che questa fase di sviluppo dura tuttora.
[Tratto da Lelio Basso, Introduzione a Il Principe
senza scettro, Milano, Feltrinelli,
1958]