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La Dichiarazione universale dei diritti dei popoli

La Dichiarazione universale dei diritti dei popoli

di LELIO BASSO

Dal 1. al 4 luglio si è tenuta ad Algeri una conferenza internazionale che alla fine dei suoi lavori ha approvato una Dichiarazione universale dei diritti dei popoli, di cui la stampe italiana, compreso questo giornale, la TV e la radio han dato qualche notizia. Il più importante giornale algerino, El Moudjahid, del 5 luglio, ha così concluso il suo commento: “L’adozione della ‘Dichiarazione universale dei diritti dei popoli’ è un atto storico. I popoli del mondo hanno ormai uno strumento di lotta per far valere i loro diritti politici ed economici. Certo, l’imperialismo non si lascerà imporre. Ma non è permesso d’essere ottimisti se questa dichiarazione è realmente ammessa dalla comunità internazionale nel suo assieme? Le volontà non mancano perché essa non resti lettera morta”.

Mi auguro anch’io che queste volontà non manchino e riescano ad ottenere l’adozione della Dichiarazione da parte delle istanze internazionali. E mi sembra perciò tanto più necessario, in vista di prospettive future, chiarirne fin d’ora l’importanza e il significato.

Essa s’inserisce nella crisi del diritto internazionale, che ha cause profonde. Il diritto è normalmente la consacrazione di rapporti di forza socio-politici reali, sia all’interno di un paese che sul piano internazionale. Il diritto internazionale classico, elaborato nei suoi principi fondamentali ancor prima della prima guerra mondiale, consacrava la supremazia delle grandi potenze e il diritto del capitalismo di sfruttare i paesi minori. Attraverso due guerre mondiali e l’affermarsi della rivoluzione socialista in molti paesi, i rapporti di forza sono cambiati. Gli imperi coloniali classici (Inghilterra, Francia, Olanda, Portogallo) così come i più recenti (Belgio, Italia) si sono sfasciati. Il numero degli Stati indipendenti, cioè dei soggetti di diritto internazionale riconosciuti dal diritto classico, si è raddoppiato, e le ex-colonie diventate indipendenti, come per altro verso gli Stati socialisti, non possono riconoscere la validità del vecchio diritto che non hanno contribuito a formare. I dibattiti che si svolgono in seno all’ONU da oltre trent’anni rappresentano appunto uno sforzo di ricerca di nuove regole di diritto internazionale, ma non sempre le decisioni della maggioranza dell’assemblea sono accettate dagli antichi Stati dominatori.

Abbiamo così una comunità internazionale che non riesce a darsi un ordinamento giuridico valido, perché la maggioranza dei suoi membri rifiuta ormai le vecchie norme ma non riesce a farne accettare delle nuove che siano funzionali ai nuovi bisogni della comunità, tali cioè da assicurare l’indipendenza reale e l’uguaglianza dei popoli. Ma una comunità non può vivere pacificamente senza un complesso di norme che ne regolino i rapporti: in difetto sarà la forza che deciderà. Ed è appunto quello che accade. L’atteggiamento del Sud Africa e quello di Israele, in aperta ribellione alle decisioni dell’ONU, ne sono una prova. Ma la prove più grave è l’atteggiamento delle superpotenze nella difesa dei loro interessi. Là dove non si fa luogo all’aggressione aperta, si ricorre alla tecnica della destabilizzazione interna e ai colpi di Stato per istituire governi-fantoccio che ubbidiscano alla potenza esterna. È la situazione della grande maggioranza dei paesi dell’America Latina.

La situazione è tanto più grave perché la creazione di governi-fantoccio toglie alla persone reali, direttamente interessate a questi rapporti, cioè agli uomini e alle donne che compongono i popoli, la possibilità di far sentire la loro voce in campo internazionale: al loro posto parlano gli Stati rappresentati da governi che non esprimono la volontà popolare. Saremmo ciechi se non vedessimo i pericoli per la pace che sono insiti nella precarietà di una situazione caratterizzata da una feroce repressione in America Latina e dai conflitti che periodicamente scoppiano nel Sud Africa o in Medio Oriente, e che favoriscono una folle corsa universale al riarmo.

La Dichiarazione di Algeri, sulla scia di quanto già fatto dal presidente messicano per un nuovo ordine economico internazionale, è la proposta di un nuovo ordine giuridico che metta fuori legge l’arroganza del potere, oggi dominante, e sia funzionale alle esigenze che emergono in questa primavera di popoli. Conosciamo tuttavia l’obiezione: chi ha dato alla conferenza di Algeri l’autorità di fare questa Dichiarazione? Certo, nessuno nell’ambito del diritto tradizionale, anche se alla Conferenza partecipavano ambasciatori che rappresentavano ufficialmente i loro governi, nonché in rappresentanza legittima di popoli, organizzazioni, come l’OLP, già riconosciute dall’ONU. Ma la Conferenza ha parlato in nome di un nuovo ordine da instaurare e che non sarebbe certo instaurato dal potere oggi esistente se la volontà e la forza dei popoli non lo imponesse.

In situazioni di transizione come questa il nuovo nasce in contrapposizione al vecchio e non certo facendo appello al potere che esso vuole scuotere. E la legittimazione di questo “nuovo” deriva dalla sua capacità di interpretare esigenze reali, che ne imporranno a un certo momento l’accettazione anche a forze riluttanti. È accaduto lo stesso per il movimento operaio: alle sue origini i sindacati erano proibiti dalle leggi borghesi e i suoi partiti erano sciolti. Ma a poco a poco queste forze extralegali si sono imposte e i singoli Stati ne hanno dovuto riconoscere la legittimità, che in Italia è espressa addirittura nella costituzione.

La Dichiarazione di Algeri si è sforzata di interpretare queste esigenze reali: essa non è il parto di una fantasia utopistica, ma il frutto di uno studio attento - fatto da giuristi di una quindicina di paesi - delle trasformazioni già in corso nel diritto internazionale sotto la pressione appunto dei paesi nuovi e dei bisogni della comunità internazionale. Individuando le tendenze di sviluppo, calando i principi generali già affermati nella realtà di oggi, dando un’organicità e una logica al nuovo che emerge in modo ancora confuso, la Conferenza di Algeri ha certamente reso un grande servigio alla pace mondiale basata sul fondamento sicuro dell’autodeterminazione dei popoli.