Pietro Ingrao  
      (Lenola, 1915) 
       
        
       
      Sin dagli anni quaranta aderisce al Partito comunista e partecipa
          alla lotta clandestina. Nel dopoguerra è vicedirettore de “l’Unità” e
        membro del Comitato centrale del Partito. Eletto deputato nel 1948 è riconfermato
        per dieci legislature. Dagli anni cinquanta è uno dei massimi
        dirigenti del Pci. Dal 1976 al 1979 è presidente della Camera
        dei deputati. Negli anni novanta, contrario alla trasformazione del Pci
        in Pds, assume una posizione critica e indipendente. 
         
        […] non riesco
        a sottrarmi alla passione del ricordo, a tornare […] sulla battaglia
        di Lelio, su ciò che conobbi di lui
        e su ciò che da lui appresi. E non stupitevi se, ricordando quanto
        devo all’amico carissimo, ciò che prima di tutto mi piace
        ricordare è quello che io e tanti in questo paese abbiamo avuto
        da Lelio come conquista della libertà. 
        Io sono molto avanti negli anni (sono nato agli inizi del secolo) e posso
        dire che uno scrupolo grave mi prende se ripenso a ciò che ho
        vissuto, al secolo che ho attraversato; ed è che noi che vivemmo
        quegli anni, noi figli di questo secolo, non abbiamo forse raccontato
        abbastanza la carneficina attraverso cui siamo passati, le cataste di
        morti, le città incendiate, la tortura elevata a scienza, i morti
        di Auschwitz e infine la paura folle che avemmo che Hitler potesse diventare
        il padrone del mondo. 
        Lelio è stato un uomo che ci ha educato in quegli anni durissimi
        e ci ha aiutato a conquistare la libertà; ci ha aiutato ed educato
        a resistere, a combattere anche quando davvero (posso dirvi: davvero),
        tutto sembrava ormai perduto... E ci ha aiutato a capire che la libertà del
        nostro tempo non aveva nutrimento e contenuto vero se non penetrava là,
        nel luogo della modernità prorompente, nella grande fabbrica capitalistica
        del ‘900. 
        Lelio spingeva a una lettura creativa della forza nuova della soggettività proletaria
        che ormai, nel nido della produttività novecentesca, veniva crescendo
        e dispiegandosi, facendo dure ma grandi esperienze. Non a caso l’autore
        di Lelio era Rosa, l’affascinante e sfortunata lettura che la Luxemburg
        faceva del movimento operaio in lotta contro la cappa delle burocrazie
        partitiche e, peggio ancora, contro lo stalinismo. Ricordo il titolo
        di un libro di Basso: Il principe senza scettro. Noi lo leggemmo con
        passione e anche in quel titolo c’era un’idea sua di liberazione
        di energie, una scommessa sul proletariato di cui andava indagando appassionatamente
        le culture, le esperienze, le innovazioni compiute sul campo e anche
        le dure sconfitte nei vari ambiti e paesi d’Europa; e tutto ciò con
        testarda convinzione internazionalista: poiché questa fu in lui
        la coscienza delle dimensioni ormai trascinanti - globali, si dice oggi
        - che assumeva la società capitalistica, e i fondamenti umani
        che essa metteva in causa. 
        Devo confessare che io provo una certa esitazione e scrupolo nell’usare
        queste parole così alte, così impegnative, che sono il
        tema di questo convegno: i diritti umani. Il diritto è parola
        antica ma anche vilipesa, è l’affermazione di un titolo
        che esige esplicazione e tutela, domanda di realizzarsi, chiede un essere
        e rivendica un essere e un agire. I diritti riferiti alla condizione
        umana si può dire siano diritti a ciò che essa ha di specifico
        e di inalienabile; a ciò che richiede, prima di diventare una
        realtà - voi lo sapete meglio di me - una battaglia straordinaria
        e inflessibile. E diritto umano diventa anche, mi sembra, una invenzione,
        la costruzione cioè di nuove condizioni di vita; più ancora:
        di nuovi termini di relazione fra esseri umani e fra sessi e fra popoli.
        E soprattutto - ci avrebbe ricordato subito Lelio - là nel luogo
        del lavoro sociale, in quelle condizioni che oggi sono vilipese per milioni
        di creature di questo globo, per interi ceppi di popoli, si potrebbe
        dire, se solo guardiamo per un istante all’Africa: per un intero
        continente. 
        Qui interviene il mio dubbio su cosa sia, o possa essere, l’umano;
        e se l’uso stesso di questa parola per certe persone che pure chiamiamo
        cittadini, non suoni, oggi, purtroppo, come irrisione o come labile e
        fuggente sogno. Per stare solo all’attualità delle gazzette,
        quali sono oggi, per esempio, se esistono, come li chiamiamo i diritti
        umani dei curdi? 
        Lelio Basso spese una vita per chiedere risposte concrete, per tentare
        risposte concrete a queste difficili domande sul diritto e sulla connessione
        con l’umano. Pur essendo sempre uomo di minoranza, cercò l’unità e
        la larghezza, ed era in ciò la sua felice irrequietezza, quel
        suo spingersi un passo più avanti anche dopo la sconfitta. Lelio
        conobbe anche sconfitte amare ed io ricordo bene quel suo socialismo,
        eretico ma di antiche radici, che credeva prima di tutto nella creatività della
        classe e del mondo subalterno, il primo soggetto al quale egli affidava
        la scoperta delle nuove, complesse letture dell’umano a cui dare
        il volto e il potere del diritto. 
      È bello che questa battaglia continui nella vostre opere, ora che
      i processi di globalizzazione del sistema capitalistico aprono questioni
      inedite di emancipazione e liberazione dal lavoro e noi, in questo turbinoso
      equivoco, alla fine del secolo, andiamo prendendo aspra coscienza delle
      nuove frontiere che i diritti qui evocati debbono raggiungere: avanzata
      coscienza dei mutamenti presentati dalla differenza femminile, dal lacerante
      rapporto di dominio dell’uomo sulla natura e infine dalle inquiete
      domande che si affacciano da quell’evento decisivo e fragile che è il
      generare, il compiersi della vita umana. 
        Questo è il compito con cui voi vi cimentate. E vorrei allora
        concludere con una proposta. Durante il dibattito che qui c’è stato,
        uno degli amici studiosi presenti (mi scuso perché non ne conosco
        il nome) ha chiesto un collegamento a livello europeo dei centri di studio
        e di ricerca sociale; e anche un’altra voce si è alzata
        per invocare questo coordinamento e questo scambio nel cercare e nell’indagare.
        Anch’io sento molto questo bisogno: temo la dura frantumazione
        del nostro agire, proprio per l’intreccio che hanno gli eventi
        con i colpi recati all’unità e alla forza del movimento
        di classe. Siamo oggi di fronte - e dobbiamo dircelo con franchezza -
        a un grave, disperante processo di dispersione che si compie in seno
        alle masse popolari, alla stessa classe operaia, con fenomeni persino
        di lontananza e di incomprensione. 
        Ritengo urgente una rimozione di questa distanza, di questa frantumazione
        che ci fa deboli. Certo, è un lavoro che richiede una partenza
        analitica, una tematizzazione elaborata e quindi suppone un ragionamento
        che ancora non si è depositato con chiarezza fra noi e su cui è forse
        difficile una condivisione anticipata. Però attraverso un confronto
        metodico e prolungato io credo che potremmo vedere e misurare le differenze
        di schemi di lettura e di impianti teorici che ancora esistono fra noi.  
        Credo che questo sarebbe il modo migliore per ricordare l’amico
        Lelio. Ricordo il suo sorriso un po’ scettico, quasi a smorzare
        continuamente l’enfasi, ma quel sorriso non cancellava la straordinaria
        carica di speranza che egli aveva e metteva in campo. 
         
        [Tratto da Fondazione
        Internazionale Lelio Basso – Fondazione
        Lelio e Lisli Basso-Issoco – Lega internazionale per i diritti
        e la liberazione dei popoli, Lelio Basso e
        le culture dei diritti, Atti
        del Convegno internazionale, Roma, 10-12 dicembre 1998, Roma, Carocci,
        2000] 
           
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